Una giornata con PetriPaselli (Italian Interview)

Una giornata con PetriPaselli

Due artisti contemporanei come “Guest Curator” per il 2023

Per ogni edizione del nostro catalogo prodotti siamo soliti coinvolgere un curatore ospite, qualcuno con cui abbiamo lavorato su almeno un paio di progetti congiunti e per il lavoro del quale abbiamo grande stima. Al curatore ospite viene dedicato un lungo articolo che apre il catalogo, o in forma di editoriale o in forma di intervista. L’obiettivo principale è consentire al curatore di condividere la propria visione sull’arte, sul design e in particolare su come sia possibile utilizzare materiali vecchi per produrre qualcosa di nuovo.

Quest’anno per la prima volta, ci siamo rivolti a un duo di artisti contemporanei ed ora abbiamo finalmente reso disponibile online (e in Italiano!) la loro intervista.

 

PetriPaselli (univerbato) è un duo artistico italiano formato da Matteo Petri e Luciano Paselli. L’unità di visione e di intenti è tale che il loro marchio li rappresenta congiunti a formare un simbolico Giano Bifronte.

Autoritratto colorizzato di PetriPaselli. Questa foto in bianco e nero è stata scattata dagli artisti appositamente per essere colorata a mano ed integrata al loro più recente lavoro in collaborazione con All’Origine.

 

Abbiamo conosciuto il lavoro del duo bolognese in tempi relativamente recenti, per la precisione il 28 ottobre 2017, in occasione della presentazione al MAMBO (Museo d’Arte Moderna di Bologna) del loro progetto editoriale 99objects. Questo è probabilmente il miglior punto di partenza per provare a spiegare in che modo sono artisti PetriPaselli e perché ci sembrino così affini al nostro modo di sentire.

99objects  è una rivista cartacea, graficamente curatissima, attraverso la quale vengono presentati per ciascun numero 99 oggetti facenti parte di una collezione con uno specifico tema, solitamente bizzarro. L’obiettivo era e rimane quello di arrivare al novantanovesimo numero prima di dichiarare chiuso il progetto.
Le foto dei 99 oggetti di ogni numero sono sempre intervallate da una serie di oggetti d’arte prodotti dal duo intervenendo su alcuni degli elementi della collezione, spesso modificandoli in modo irreversibile.

Alcuni volumi facenti parte del progetto editoriale 99objects (in corso) pubblicati tra il 2017 ed il 2021

Ad oggi  sono usciti 6 numeri dedicati a oggetti quali “posacenere souvenir”, “portachiavi”, “formelle ceramiche con raffigurazioni e testi”, “trofei di tornei di bocce”… L’interesse per il kitsch è innegabilmente la prima cosa che si coglie. Non serve nemmeno aprire una delle riviste perché basta guardarne la copertina. L’ultimo numero, pubblicato in contemporanea con questo catalogo, è dedicato a un progetto comune per il quale All’Origine ha fornito 99 foto in bianco e nero colorizzate a mano nei primi anni del ‘900!

Se il collezionismo rappresenta l’oggetto della comunicazione, il codice – volendo fare un parallelismo con la teoria della comunicazione – è quello della fotografia. E il messaggio? Sarà l’intervista nel suo complesso a provare a dare una risposta indiretta a questa domanda.

 Il collezionismo come già detto di loro (mi pare da Lorenzo Balbi) è per PetriPaselli medium artistico. Contraddicendo quanto scritto due righe sopra è forse più giusto dire che il collezionismo è sia oggetto che codice nelle loro comunicazioni, inscindibilmente legato all’altro codice, quello fotografico, nel caso di 99objects e di molti altri lavori.

Luciano Paselli, non stupirà, è anche un fotografo professionista. Assieme a Petri è capace di infondere un grande potere evocativo nei più brutti e disgraziati oggetti da loro raccolti. Si veda la foto delle damine vestite di gusci di bivalvi nella pagina a lato (titolo dell’opera: Le ragazze con l’orecchino di perla, ovvero la massa ha cattivo gusto). Chi scrive non ha nessun legame sentimentale con questo tipo di oggetti, li ha visti dal vivo e per la prima volta nello studio di PetriPaselli e li ha osservati con sincero disprezzo.  Eppure la loro foto è capace di suscitare un inaspettato e intenso piacere visivo!

“Le ragazze con l’orecchino di perla, ovvero la massa ha cattivo gusto”, 2017

Kitsch e collezionismo sono quindi i due elementi che ricorrono nella maggior parte del loro lavoro. Sia quando lo veicolano attraverso la fotografia, sia quando restituiscono installazioni immersive. Si tratta quasi sempre di un kitsch d’antan, legato a ricordi collettivi per chi appartiene alla generazione di PetriPaselli e quella prima. Gli oggetti accumulati e poi esibiti, fotografati o modificati dal duo acquistano tra le loro mani un potere evocativo forte e sottile, capace di riportare anche chi scrive a luoghi imprecisati dell’infanzia, in grado non tanto di far rivivere specifici ricordi, quanto di riportare alla mente sensazioni sbiadite di come –forse- si percepivano le cose da bambini.

Parrebbe scontato pensare che persone di generazioni diverse, che non hanno vissuto l’infanzia tra gli anni ’80 e primi ’90 come PetriPaselli, possano avere una percezione diversa del loro lavoro. Chiederemo loro anche questo.

L’intervista

Partiamo da qualche cenno biografico. Prima di diventare PetriPaselli chi era Luciano Paselli e chi era Matteo Petri?

Paselli: Matteo Tommaso Petri prima di diventare l’altra metà di PetriPaselli era il mio vicino di casa a Vergato. Lo è sempre stato, fin dall’asilo. Lui è più vecchio di me anche se non sembra; ci siamo sempre frequentati, complice la sorella Emilia Maria Chiara Petri (pittrice) con cui ho condiviso gli studi dall’asilo al liceo. Matteo era sempre quello che ci dava fastidio e ci faceva i dispetti, ma eravamo accomunati da una piaga comune: i familiari collezionisti. Risvegli notturni per andare in mercatini e regole ferree su cosa non toccare in casa (tutto). Educati a fare attenzione ai dettagli, alle piccole cose, ai materiali, siamo cresciuti in mezzo a collezioni. Vasi, orologi a cucù, ceramiche, distintivi, souvenir in legno, cucchiaini decorati, asinelli, palline di Natale, targhe pubblicitarie, portacandele, giocattoli in latta, bambole. Ecc ecc ecc. Matteo collezionava cose pubblicitarie della Coca Cola, Lego e Micromachines, cosa che facevo anche io. Appassionato di videogiochi e aerei, passione trasmessagli dal nonno, ha sempre avuto una grande inclinazione artistica, nella pittura, nella musica (suona il pianoforte) e nella ceramica influenzato dai lavori del papà e della mamma, entrambi artisti oltre che architetti. Come atto di ribellione si è laureato in ingegneria informatica e ora vive con la famiglia a Bologna.

Petri: Luciano era il bambino che indossava il costume da farfalla a Carnevale. Ho capito più avanti che era un omaggio più o meno consapevole al nonno entomologo che le farfalle le infilzava con lunghi spilli sottili. Era il compagno di giochi che mi aspettava appoggiato alla rete di confine dei nostri giardini e con cui inventavamo giochi all’aperto perché le nostre rispettive case erano troppo sature di altro per lasciare spazio al divertimento di due bambini. Più tardi negli anni è stato il ragazzino con la collezione più invidiata di oggetti Coca Cola e un tappeto di giochi da scavalcare, giochi che finivano inevitabilmente per essere pestati. Per lo più erano pupazzi di gomma che fanno rumore quando li schiacci. Possiamo dire che la sua camera è tuttora di ispirazione per le nostre installazioni, ma in generale tutta la casa della sua famiglia lo è stata. La sua casa e quella dei miei genitori sono sempre state accomunate dal senso per l’accumulo, della collezione, della ricerca continua di nuovi spazi angoli e pareti per appendere oggetti.

Con le esperienze acquisite durante l’infanzia trascorsa assieme, Luciano avrebbe avuto tutti i numeri per diventare un ottimo psicanalista ma ha scelto di laurearsi al DAMS.

Due foto di Luciano Paselli bambino in costume carnevalesco da farfalla (circa 1990)

Ma quindi queste due famiglie di accumulatori si sono trovate ad abitare l’una accanto all’altra per scelta o per curo caso?

Paselli: Pura casualità.

Petri: Parlerei quasi di fortuna!

Parte della collezione personale di Luciano Paselli di portachiavi anni ’90. Raccolti alle scuole medie, molti anni dopo questi oggetti sono divenuti protagonisti del secondo numero di 99objects.

Avete appena esplicitato il legame profondo tra il vostro mondo artistico e l’infanzia che avete condiviso nel piccolo comune di Vergato, e sempre più mi convinco che la vostra scelta di rappresentarvi come un Giano Bifronte non abbia nulla di casuale. La più antica tradizione pagana vuole che le due teste di Giano siano rivolte una al passato e l’altra al futuro. E questo nodo, dove avete posto i vostri cervelli intercomunicanti è  esattamente quello che cerchiamo di dipanare assieme a tutti coloro che ricoprono il ruolo di guest curator. Ognuno ha modi e fini completamente diversi, ma siete tutti -latamente parlando- accomunati dall’utilizzo di “cose vecchie” allo scopo di restituire “cose nuove”. Che ruolo ha la nostalgia nel vostro lavoro?

PetriPaselli: La nostalgia nei nostri lavori ha la funzione di creare un rapporto di empatia con chi fruisce i nostri lavori: partiamo da ricordi personali, per poi estenderli a un pubblico più vasto possibile andando però a muovere ricordi del singolo. Gli oggetti vecchi servono ad aprire i cosiddetti cassetti della memoria. Creano una base comune, un linguaggio condiviso, su cui instaurare il rapporto astista-pubblico. È un rapporto basato su sensazioni impercettibili, su piccole epifanie date da dettagli apparentemente privi di significato. Non ci interessa l’aspetto della tristezza e del rimpianto quanto piuttosto il richiamare alla mente un passato perduto e dimenticato. Il ricordo del singolo si trova però a dialogare con un contesto estraneo, artefatto, da noi proposto provocando spesso una sensazione perturbante.

Souvenir in gesso del “Perseo con testa di Medusa” di Benvenuto Cellini, parzialmente ricoperto di slime arancione. Parte di una serie inedita e ancora senza titolo. 
Statuetta in gesso che rappresenta una geisha giapponese, parzialmente ricoperta di slime blu. Parte di una serie inedita e ancora senza titolo.
Estratto dal IV numero di 99objects: un distintivo souvenir della cima Solda, alterato per racchiudere l’immagine di una distesa di soldatini in plastica ammucchiati uno sull’altro, rende esplicito il riferimento ai fatti avvenuti in questo luogo durante la Grande Guerra.

Ecco, mi offrite il destro per chiedervi dell’altra testa, quella che guarda avanti. Siete artisti museali e i curatori che vi scelgono, ad esempio come unico contrappunto al lavoro di Boltanski nel caso della vostra installazione per il quarantennale della strage di Ustica, vi selezionano per mostrarvi a un pubblico vastissimo, fatto di adulti, di ragazzi in età scolare, di pensionati. Certamente a una parte del pubblico “sbloccate” ricordi di infanzia, ma al resto evidentemente piacete a prescindere da questa base comune di cui parlate. La vostra installazione al Museo per la Memoria di Ustica credo possa assurgere a simbolo dell’universalità del vostro discorso. Parla a chi è stato giovane negli anni ’80, ma anche a chi lo è stato negli anni ’50 e negli anni ’00. Se la dovessero riproporre per il cinquantennale parlerà anche ai nati nel 2022. Come?

 

PetriPaselli: Con la magia del teatro ti diremmo… Ma siccome non facciamo teatro, ti risponderemo che nei nostri lavori cerchiamo di utilizzare il linguaggio universale degli oggetti. In un certo senso la vita è connessa con la materialità delle cose. Gli oggetti sono portatori inconsapevoli di significati, valori e trascorsi che non hanno bisogno di interpreti ma possono essere percepiti attraverso una sorta di “conoscenza innata”, conoscenza che ciascuno di noi alimenta con le proprie esperienze.

Noi siamo osservatori del Mondo, e leggiamo le connessioni o i cortocircuiti che si creano nel legame tra oggetti e persone. Quando creiamo installazioni ambientali immersive sappiamo che il pubblico porterà con sé questo legame assieme al proprio vissuto, e continuerà a farlo tra 20 anni come ora anche se il contesto sarà diverso da quello attuale.

Relitto ricomposto del DC-9  Itavia abbattuto da un missile nei cieli di Ustica la sera del 27 giugno 1980 come si presenta oggi all’interno del Museo per la Memoria di Ustica, Bologna.
Giostra Telecombat temporaneamente installata da PetriPaselli all’esterno del Museo per la memoria di Ustica in occasione del quarantennale della strage.

Nell’opera che abbiamo realizzato per la commemorazione di Ustica, ad esempio, abbiamo messo in relazione tra loro 2 elementi-oggetti, la giostra del lunapark e il relitto di un aereo abbattuto da un missile, per raccontare come il concetto di violenza, già innato nell’uomo, venga proposto fin da bambini attraverso il gioco e di come, passando dalla finzione del gioco alla realtà della guerra, le strategie socio politiche continuino a giocare con le vite umane.

 

L’elemento del gioco è in effetti universale, trasversale a tutte le epoche della storia umana e riguarda – a detta dei naturalisti – almeno l’80% dei mammiferi. L’installazione della giostra aveva una regola precisa di ingaggio. Si saliva sulla giostra Telecombat solo dopo aver visto il relitto del DC-9 e l’installazione permanente di Boltanski.

Della vostra poetica non fanno quindi parte solo i giocattoli, ma anche il gioco come atto. Premesso che gli artisti vivono al di sopra del principio di non contraddizione e quella che segue non è una critica ma un elogio: gioco e collezionismo hanno regole inviolabili. Collezionare, classificare e catalogare sono attività che impongono un rigore estremo. Voi invece fate di un’attività con un esito teoricamente predeterminato un mezzo di espressione. Credo si possa dire che ottenete questo risultato attraverso la rottura delle regole, in particolare di quelle “archivistiche” e il modo in cui lo fate è spesso violento, con interventi che modificano per sempre i feticci che avete raccolto. Penso alle carte da parati di inizio ‘900 che avvolgono le formelle in ceramica nel quinto numero di 99objects, ma anche al lavoro che avete realizzato con le fotografie colorizzate che avete trafitto con punti metallici. Qual è il vostro pensiero sulla “rottura”?

Opere realizzate per il quinto numero di99objects: scampoli di carta da parati di metà ‘900 (ritrovati in gran parte nella soffitta della casa dei nonni di Paselli) vengono incollati permanentemente su una superficie piana dove era stata posta una formella in ceramica.

PetriPaselli: La “rottura” per noi è prima di tutto l’occasione per ricostruire, è “l’origine” di qualcosa di nuovo.

Il senso di straniamento che deriva dalla decontestualizzazione provocata da una rottura serve a creare nuovi significati e a dare un senso “altro” a ciò che guardiamo rispetto a quello che siamo abituati a vedere.

Questo cortocircuito tra il vecchio e il nuovo è finalizzato a porre domande e mai a dare risposte.

Il nostro lavoro parte spesso dalle collezioni, nostre e altrui, ma gioca con i canoni del collezionismo per rompere le regole e definirne di nuove. In questo modo tendiamo a stabilire rapporti di potere inaspettati tra il collezionista, noi e la collezione.

Quello che ci interessa infatti è stabilire un legame con i “nostri seguaci”, un legame simile a quello che si instaura tra collezione e collezionista.

Un legame che andiamo sistematicamente a stravolgere con la rottura delle severe regole di catalogazione ben note a collezionisti e archivisti per creare una reazione, di fastidio per lo più, a chi come loro parla il nostro linguaggio.

Questo aspetto esce in maniera forte nel progetto 99objects, progetto apparentemente editoriale, dove abbiamo dichiarato l’inizio di una collezione in 99 volumi che gli appassionati del genere hanno iniziato a raccogliere senza sapere la forma che avrà l’opera completa. Dall’atto di fiducia che abbiamo chiesto ai nostri collezionisti inizia la nostra operazione artistica di rottura: potremmo decidere di fare solo 98 volumi, lasciando tutti con una collezione incompleta, oppure potremmo decidere di cambiare il formato di un solo numero, dando un enorme fastidio a chi gode nel guardare tutti i libri ordinati uguali sulla mensola. Potremmo anche decidere di ridurre drasticamente il numero di tiratura, lasciando a mani vuote molti collezionisti. Insomma, potremmo essere molto cattivi ma divertirci tantissimo!

Il concetto di rottura si applica poi anche in senso materiale ai nostri lavori, ma sempre con lo stesso fine. Alcuni esempi sono la serie fotografica che riproduce cimeli in terracotta e maiolica rotti e ricomposti “artigianalmente” con nastro adesivo, abbondanti sbavature di colla o filo di ferro (un progetto in corso ancora senza titolo). Oppure l’installazione ambientale “il compianto” composta dalle pagine che abbiamo strappato da decine di libri di Biancaneve, selezionando quelle raffiguranti Biancaneve nella teca di cristallo.

Una collezione di statuette di porcellana ritrovate con tracce di riparazioni maldestre alle quali PetriPaselli ne accostano altre che hanno rabberciato essi stessi in modo volutamente scorretto. Parte di una serie in corso di realizzazione e ancora senza titlo.

Vorrei che ci parlaste di estetica, perciò ne approfitto per sottolineare quella che colgo come ulteriore –e ovviamente meravigliosa- vostra contraddizione o “cortocircuito” come mi pare preferiate dire voi che appartenete al mondo dell’arte. A dispetto dell’unisono che si coglie nella vostra pratica artistica, tra voi siete “esteticamente spaiati”. Allo stesso modo, in contrasto con la natura vecchia, sdrucita e opaca di molti dei materiali con cui lavorate, riuscite a restituire dei lavori con un certo tipo di patinatura, oserei dire quasi una caramellatura che guardandoli mi fa sentire un po’ come se fossi al luna park, ma non uno vero con i rumori, le puzze e la gente sgradevole, più come in un luna park dipinto all’aerografo da Guerrino Boatto, con quella sua luce morbida e calda che fa tanto anni ‘80. Come definite l’estetica (o le estetiche) che avete scelto di sposare nel vostro lavoro e cosa riflettono di voi come persone?

PetriPaselli: I nostri lavori partono sia dall’estetica di un oggetto, dalle sue particolarità, sia da un concetto. Nel secondo caso l’estetica arriva dopo in funzione del messaggio che vogliamo trasmettere. È il colore di cui rivestiamo le nostre idee e col quale le andiamo a concretizzare.

Nonostante l’aspetto estetico non sia sempre il nostro punto di partenza, diventa l’elemento più immediatamente riconoscibile delle nostre opere perché per realizzarle attingiamo prevalentemente dal nostro repertorio visivo “domestico”, fortemente legato alla nostra infanzia e all’imprinting indelebile delle abitazioni delle nostre famiglie. Case incredibilmente simili per la saturazione degli spazi e nel gusto per l’object trouvé spiccatamente vintage, ma formalmente all’opposto per modalità di ricerca ed estetica e nel rigore dell’archiviazione.

Oggetti simili e appartenenti a una stessa tipologia venivano accumulati per il solo piacere di raccogliere tutte le varianti possibili indipendentemente dallo stile, dall’epoca o dal materiale in casa di Luciano. E quegli oggetti venivano utilizzati in modo pittorico per creare campiture multicolori su pareti e mensole. Mensole di gattini in plastica, ceramica e stoffa, statue di elefanti in avorio, legno e metallo

Diversamente in casa di Matteo, il ritrovamento di un qualsiasi oggetto curioso e in relazione con l’infanzia dei genitori era il pretesto per iniziare una nuova collezione. Bambole di porcellana, giocattoli di latta, insegne di latta pubblicitarie. Qui gli oggetti collezionati si sovrapponevano per creare stratificazioni, sipari o quinte.

Questa diversità, l’essere “esteticamente spaiati” dalla nascita, si riflette nel nostro lavoro ma viene filtrata attraverso un lungo processo creativo-iterativo. All’accumulo (Luciano) si contrappone la sottrazione (Matteo), il kitsch (Luciano) si sposa con il pop (Matteo).

Entrambi in qualche modo cerchiamo di mettere ordine in casa dell’altro, e questo processo si ripete finché entrambi non siamo soddisfatti del risultato.

L’effetto patinato è visibile soprattutto nei lavori fotografici, per i quali lo scatto è solo il momento che sancisce il raggiungimento dell’equilibrio della composizione. Nelle istallazioni ambientali invece prevale l’aspetto archivistico documentale, ma sempre ponderato dal nostro senso di equilibrio.

“Il giardino delle vergini immacolate”,  opera realizzata durante una residenza artistica a Marostica, nasce da una riflessione sull’usanza di decorare i giardini con statue di ogni genere. Spesso si tratta di figure sacre e profane come Padre Pio e Gnomi in cemento, goffamente abbinate in una convivenza involontariamente dissacrante. Nell’intervento di PetriPaselli questo concetto viene sintetizzato attraverso la privazione dei tratti distintivi, rispettivamente sacri e profani, di un gruppo scultoreo di Madonne e Biancanevi. Questa immagine è cortesia di Regione Emilia Romagna.

Vi avevo promesso che dopo questa risposta saremmo passati a domande più leggere, ma a questo punto l’impulso è direttamente quello di fare della prossima domanda un quiz in stile Cioè per scoprire se si è Luciani o Mattei. Vi salva il fatto che ci rivolgiamo a un pubblico internazionale che verosimilmente solo in minima parte conosce questa rivista cartacea che tanto era in voga quando eravamo bambini e adolescenti. Chiedo comunque a ognuno: C’è per voi un confine tra oggetti interessanti a fine collezionistico e oggetti interessanti da raggruppare a fine artistico? Ci sono tipologie di oggetti che non collezionate e non collezionereste mai? Quali sono le vostre principali collezioni attive al momento?

Paselli: Un confine netto non esiste. Più volte le nostre collezioni personali sono entrate direttamente o indirettamente nei nostri lavori: sono miei ad esempio i portachiavi anni 90 del secondo numero di 99objects. Ci sono invece collezioni condivise con l’obiettivo di farle entrare in alcuni futuri progetti, come ad esempio le bottigliette di acqua santa.

Personalmente penso non collezionerò mai oggetti legati alla vita militare e oggetti di tortura

Difficile dire quali siano le collezioni attive: direi aria in scatola, visori souvenir, Exogini, Biancanevi giocattolo, Lego, bottiglie del latte in vetro, souvenir di montagna, ecc ecc ecc

 

Petri: Cerco di essere molto selettivo nelle mie collezioni perché queste nascono dal ritrovamento di un oggetto che mi appassiona e dal successivo desiderio di completare la “serie”. Il confine tra ciò che ritengo collezionabile e quello che utilizziamo per i nostri lavori è dettato principalmente dal legame che si crea a prima vista con l’oggetto ma anche dallo spazio necessario per l’archiviazione.

Non collezionerei mai tutti gli oggetti che compaiono nelle installazioni PetriPaselli, soprattutto le bomboniere peluche di Luciano o le pagine di album per francobolli senza i francobolli collezionati nell’arco di una vita dal nonno di Luciano. Ma non terrei mai in casa neanche animali impagliati, protesi umane o parrucche, biancheria intima, portachiavi e accendini. Tuttavia sono fermamente convinto che tutti gli oggetti che utilizziamo nei nostri lavori siano fondamentali nell’economia delle nostre opera e fatico a separarmene nel momento in cui entrano a fare parte del nostro lavoro.

Tra le mie collezioni sempre-verdi ho quella dei videogiochi anni ’80, dei giocattoli a tema spaziale e in generale di memorabilia della conquista dello spazio, oggetti di design di qualsiasi tipo, libri di illustrazioni (Biancaneve è solo uno dei sottotemi).

In realtà la collezione di collezioni credo sia la vera aspirazione mia e di Luciano, o forse direttamente una collezione di collezionisti… ma non saprei come mantenerla.

Due composizioni realizzate individualmente da Matteo Petri e Luciano Paselli abbinando oggetti ritrovati nello showroom di All’Origine con altri provenienti dalle loro collezioni. In questo caso i due artisti hanno lavorato su una composizione ciascuno allo scopo di presentare ai nostri lettori le differenze di gusto estetico e tra i loro repertori visivi individuali. La prima composizione è di Paselli, la seconda di Petri.

Siamo arrivati fin qui parlando a più riprese di archiviazione e catalogazione. Ci siamo ovviamente astenuti dal tentare di catalogare voi (ennesima contraddizione/cortocircuito quella dei “catalogatori incatalogabili”? forse nemmeno troppo). Un ulteriore tassello che potrebbe aiutarci a cogliere l’essenza di PetriPaselli potreste fornircelo dandoci alcuni nomi di artisti che sentite affini, che considerate maestri o che vi sono di ispirazione. Sarà molto bello per chi legge questa intervista e per noi di All’Origine seguire i link raccolti qui sotto e scoprire artisti che prima non conoscevamo in questa vostra lista!

PetriPaselli: Il nostro elenco è fatto da nomi conosciuti e altri meno conosciuti. Traiamo ispirazione non solo da artisti ma anche da illustratori, registi, arredatori, set designer, scenografi ecc…ma ci vorrebbe un libricino a parte. Abbiamo quindi preparato una serie di artisti e fotografi nel senso comune del termine spiegando in poche parole perché (l’ordine è puramente casuale e non ragionato).

Martin Parr, per avere dato dignità alla cultura trash e kitsch attraverso la fotografia di strada, per aver documentato il lato divertente del turismo di massa e per essere un grande collezionista.

Erik Kessels, perché fa dell’errore e della fotografia ritrovata la sua poetica e per aver pubblicato libri geniali.

Luigi Ontani, per la capacità di coniugare in modo elegante temi delicati e contrastanti con un grande senso dell’ironia, oltre che per essere un nostro compaesano.

Elmgreen and Dragset, perché hanno fatto dei lavori che avremmo voluto fare noi (Powerless Structures, Fig.101 per esempio)

Katharina Fritsch, artista Neo Pop tedesca il cui lavoro è incentrato sull’uso di icone di grandi dimensioni e grande effetto, molte delle quali fanno parte anche del nostro vocabolario artistico.

Bosch, perchè dai…lui è stato il vero e unico alieno sulla terra. Ha creato l’immaginabile come nessun altro mai!

Mark Dion, vero creatore di wunderkammer contemporanee. Qualsiasi cosa tocca si trasforma in poesia.

Joseph Cornell. Quando si lavora con oggetti e diorami non si può non tenere in considerazione il suo lavoro, seppur partendo da presupposti diversi.

Olaf Breuning  per l uso geniale e non convenzionale della fotografia.

Thorsten Brinkmann  per l’uso surreale degli oggetti.

Cortis and Sonderegger per aver sovvertito le regole dello still-life.

Luigi Ghirri, perché 9 progetti fotografici contemporanei su 10 li aveva già fatti lui.

Ci resta una cosa sola: chiedervi cosa ne avete fatto delle foto colorizzate che avete selezionato dal nostro archivio.

PetriPaselli: Varcando le porte di All’Origine siamo stati immediatamente attratti dalle cataste di materiale cartaceo (fotografie, stampe, dipinti) che viene separato dalla sua cornice durante il processo di catalogazione degli oggetti recuperati. Ci siamo quindi concentrati sulle vecchie fotografie in bianco e nero, e in particolare sui ritratti più antichi, quelli che venivano colorati a mano dall’intervento pittorico del fotografo o di un artista.

Queste immagini conservano solo poche tracce fotografiche del soggetto originale che in molti casi risulta mascherato o sfregiato dal colore del pennello. Il nostro punto di partenza è stato quello di aggiungere un terzo linguaggio a questi oggetti, quello oggettuale/scultoreo.

Per farlo, abbiamo sovrapposto ai ritratti sbiaditi e a tratti inquietanti una selezione di blister di giocattoli, quelli che si trovavano nelle edicole negli anni ’80 o addirittura più vecchi.

In questo intervento, strati pittorici e materici di diverse epoche convivono per sedimentazione, una stratificazione di colore che crea nuovo senso e significato alle immagini di partenza.

PetriPaselli durante una delle prime visite allo showroom All’Origine nel novembre 2021. Le foto documentano l’inizio del processo di selezione delle foto colorizzate e di altre serie di immagini sulle quali stanno lavorando per realizzare altri lavori artistici che vedranno la luce nel prossimo futuro.
Fotografie colorizzate a mano databili tra l’inizio e la metà del ‘900, raccolte in Europa da All’Origine e selezionate da PetriPaselli.
Copertina del settimo numero di 99objects di PetriPaselli intitolato “Colorized Portraits”. 

“Questo è uno di quei lavori che preferiamo lasciare alle interpretazioni di chi lo fruisce. I nostri amici che lo hanno potuto vedere durante la realizzazione ci hanno fornito le più svariate interpretazioni: per alcuni i giocattoli in plastica rappresentano i sogni mai realizzati dei soggetti in foto, per altri invece sono una gabbia che li costringe a un ruolo o un mestiere che non avrebbero voluto. Almeno per il momento ci asterremo dall’esplicitare il nostro punto di vista sul significato di questo lavoro.”

PetriPaselli

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