Senza Fine (intervista a Simone Luschi)
“Senza Fine”
Amore per l’atto creativo al disopra dell’arte
Intervista a Simone Luschi,
Guest Curator 2025
Simone Luschi è un artista italiano che ha fatto dell’arte una scelta di vita ma non di carriera. Non menzioneremo perciò le mostre, le gallerie nazionali ed internazionali, i cataloghi e nessuna delle tappe di quello che è stato comunque sin qui un percorso costellato di traguardi professionali. Perché l’arte per Luschi non è affatto una professione, ma molto di più.
Da sempre Luschi ha scelto di preservare la propria “libertà creativa” mantenendosi con altri mestieri. Dedica quanto meno tempo possibile al lavoro e quanto più tempo possibile alla sua attività di ricerca artistica. Conduce una vita frugale, oserei dire francescana, avendo eliminato qualsiasi forma di spreco, che si tratti di spreco alimentare, di consumo energetico, di materiali per le sue produzioni artistiche e soprattutto del suo tempo.
Simone Luschi, per tre giorni a settimana fa il magazziniere, e dal 2019 lo fa per All’Origine!
Il resto del suo tempo, quasi tutto, è dedicato a una ricerca libera da qualsiasi vincolo che in un paradosso solo apparente lo porta ad essere estremamente prolifico ed estremamente riconoscibile in ciascuna delle sue esplorazioni raffigurative, che si tratti di pittura, scultura , illustrazione, design, e degli infiniti e inclassificabili ibridi tra tutte queste discipline. Il lavoro di Luschi è tanto spurio quanto solido, ramificato per scelta di linguaggi eppure unitario nella visione, sembra nascere in un caos di sterminate palette cromatiche, forme, archetipi e materiali raccogliticci poi temperati dalla misura, sintetizzati per sottrazione in quello che probabilmente è un riflesso della sua attitudine a ridurre il superfluo.
Ma avere Simone come Guest Curator significa poter finalmente parlare non solo di un amico, ma di un artista che conosce benissimo e (spoiler) spesso integra nei propri lavori i vecchi oggetti che passano per il nostro showroom. Da anni attendevamo di aggiungere Simone al novero delle persone cui chiediamo di raccontarci come utilizzano nel loro lavoro oggetti vecchi in modo nuovo.
Foto di Luciano Paselli
G: A che età hai cominciato a fare arte? A che età hai cominciato a prenderti sul serio?
S: Non so definire un’età precisa in cui ho cominciato a creare, forse perchè non trovo una grande differenza fra i disegni che facevo da bambino e l’evoluzione che ho avuto anno per anno fino ad arrivare nel presente.
Il disegno mi ha accompagnato da sempre, sono cresciuto in mezzo a stupendi libri per bambini che mia madre – insegnante di scuola materna – usava per inventare esercizi e giochi. Mi coinvolgeva sempre in attività di disegno e divenni presto il suo aiutante ogni volta che ideava nuove attività ludo didattiche per i suoi allievi. Sono cresciuto anche osservando gli incredibili disegni tecnici realizzati per lavoro da mio padre: immense e precise sezioni di ingranaggi e tubature disegnati a mano con il Rapidograph su lucido. Crescendo ho sempre continuato a fare disegnini, fino a ritrovare la zona della mia camera da letto adibita allo studio come una specie di atelier con moquette per terra perché i colori non rovinassero il parquet, e con i muri oramai disegnati, dipinti, con prove di aerografo, studi di scultura ed ogni esperimento che potessi fare.
Dopo che andai via di casa, alcuni anni dopo, mio padre rimbiancò tutto in camera mia. Non so con quante mani di bianco, ma prima di riuscire a ripristinarla dovette tirare via con lo scalpello le tracce dei vari esperimenti scultorei, tipo applicazioni con gomme da masticare o con la più tradizionale argilla (che imbrattava anche tutta la moquette). Che genitori permissivi ho avuto! Se ci penso adesso mi darei dei calci nel sedere da solo.
Un Simone Luschi adulto lavora a una testa scultorea all’interno del vecchio studio di Faenza (circa 2015). Uno strato di segatura ricopre pareti e oggetti evocando l’immagine descritta della sua camera d’infanzia.
S: Penso che più che prendermi sul serio ho sempre sentito che creare era una forma di espressione che mi avrebbe accompagnato per sempre. Il passaggio più importante di consapevolezza riguarda la padronanza di creare qualcosa che mi soddisfacesse completamente. Ho passato davvero tanto tempo a sperimentare qualsiasi forma e tecnica mi incuriosisse, poi è arrivato il giorno in cui naturalmente tutti questi esperimenti mi hanno dato i mezzi per creare quello che volevo sul serio.
Dal momento in cui cominciai a sentirmi davvero soddisfatto del mio lavoro il tutto si fece più serio. Iniziai a mostrare il mio lavoro agli altri e addirittura a farlo uscire dal mio studio per esporlo.
Due lavori bidimensionali a cavallo tra illustrazione e pittura ma anche tra raffigurazione e astrazione. Quando Luschi dipinge è spesso lampante il suo desiderio di lavorare in continuità con ciò che rappresentava nei suoi disegni d’infanzia.
G: Vorrei chiederti della tua formazione accademica. Il medium d’elezione fu la ceramica. Una materia il cui utilizzo con finalità artistiche e ornamentali ha una tradizione quasi millenaria nel nostro territorio, basti dire che in Francese la maiolica si chiama “faience”, dal nome della vicina Faenza dove hai studiato e vissuto.
Dopo il diploma hai però scelto di abbandonare questo materiale. Perché?
S: Scelsi quello che ai miei tempi era l’Istituto d’Arte per la ceramica G. Ballardini, quando ad un open day, rimasi colpito dalle quantità di laboratori e dalle aule disseminate in questo enorme complesso storico: forni ai piani sotterranei, aule di scultura, formatura, progettazione e poi le vetrine che esponevano stupendi lavori studenteschi del passato. Con il tempo codesta scelta si rivelò fortunatissima, non solo perché ebbi l’opportunità di imparare, comprendere e padroneggiare questo medium, ma anche perché l’istituto ospitava un importante numero di stranieri, che da ogni parte del mondo arrivavano per godere delle opportunità di questa scuola, influenzando il mio percorso con le loro diverse interpretazioni del materiale ceramico.
L’importante e nobile percorso che contraddistingue la ceramica, un bagaglio di saperi che riguarda sia la modellazione che conoscenze chimiche specifiche necessarie per creare i propri rivestimenti, è la ragione stessa del mio allontanamento da questo medium. Vedevo la figura del ceramista legata in maniera quasi morbosa ad una formazione senza fine. Io personalmente mi sono concentrato soprattutto sulla parte scultorea, utilizzando come scorciatoia semplici ingobbi come rivestimento per evitare ulteriori cotture.
Uscito dalla scuola ho valutato che le complessità della ceramica mi allontanavano da essa: i tempi lunghi necessari per portare un lavoro ceramico a compimento, gli enormi costi di produzione per i materiali e l’energia elettrica richiesta dalle cotture, e infine la necessità di una chiara visione del progetto, dato che dopo la cottura finale un pezzo non si può più modificare. Così ho cercato altri materiali più adatti alla mia voglia di creare in maniera più vorace e alla possibilità di mantenere i miei progetti “aperti” quanto più a lungo possibile. È per questo che trovai nel legno un materiale che mi permetteva di vivere il percorso creativo in maniera più divertente e leggera. Inoltre il legno è reperibile -a volte gratuitamente- in tutte le sue forme, naturali o sotto forma di oggetti usati e gettati. Una mia scultura in legno non raggiunge mai una forma definitiva, perché continua a poter essere tagliata, incollata e verniciata all’infinito. Questa sorta di lavoro per stratificazione mi permette di ottenere ciò che voglio, dandomi anche la possibilità di rivisitare un lavoro dopo anni se non mi soddisfa più.
Attingendo a un repertorio di forme precedentemente realizzate, Simone sperimenta molteplici possibili configurazioni prima di cristallizzare il suo lavoro in una forma “provvisoriamente definitiva”.
Scultura da parete che impiega un campionario di legni recuperati dalle diverse caratteristiche, con diverso grado di usura ed intensità di intervento.
Un’altra scultura da parete che testimonia un diverso tipo di approccio: un origami di piani variamente inclinati celebra, modificandone solo la tessitura, la superficie e la laccatura originale di un’anta presa da un vecchio mobile.
G: tuoi lavori integrano moltissimi oggetti trovati: semilavorati in legno multistrato o fibra di legno che ti fanno da supporto, ma anche manufatti che conservano tutte le caratteristiche della funzione cui precedentemente assolvevano (parte di un violino, un pettine, una mensola portafiori, la doccetta di un annaffiatoio, monconi di matite colorate). Ma nei tuoi lavori integri anche moltissimi oggetti cui ha dato forma la natura quali rami e pietre. Quali sono le caratteristiche di un oggetto trovato che suscitano in te il desiderio di integrarlo in un tuo lavoro?
S: Uno degli elementi principali che accomuna i pezzi che scelgo è il loro vissuto, consapevolmente o no penso che quando ci troviamo davanti ad una superficie con una certa storia, ci trasmetta immediatamente un’emozione legata al tempo che passa.
Che si tratti di un bancale maltrattato dagli spostamenti e dagli agenti atmosferici, di un anta d’ armadio inutilizzata o di un vecchio utensile, l’estetica composta da crepe, graffi e colori sbiaditi rappresenta l’unicità di ogni percorso, come per la vita umana.
Raccolgo e scelgo materiali con dinamiche diverse, tavole ed ante finiranno semplicemente per diventare supporti per dipinti. Ci sono invece elementi naturali che hanno forme perfette, rametti, sassi e altre componenti della natura che colleziono, aspettando il momento in cui faranno parte di una scultura più complessa.
Per quanto riguarda gli oggetti con una funzione, alcuni sono proprio dei punti di partenza, vedo già delle sculture perfette, dove far crescere qualcosa intorno ed intervenire con il colore per enfatizzare ciò che già esiste. A volte focalizzo la mia attenzione su un oggetto che merita maggiore gloria.
Per lo stesso motivo mi è capitato di imitare nelle forme un oggetto di uso comune, vedendo in lui una scultura ancor prima della funzione per cui è stato creato.
Installazione site-specific per Emanuele Dari ed Enrico Brighi. Un mobile espositore che ospita una collezione di oggetti ceramici viene -per così dire- affrancato dal ruolo di comprimario attraverso un intervento pittorico e scultoreo. Allo stesso tempo le ceramiche protagoniste della collezione condividono la scena con piccoli e grandi oggetti di legno di Simone Luschi: sculture, ramoscelli colorati ed un moncone di matita colorata. Nel complesso qualsiasi gerarchia è sovvertita. Il mobile, gli oggetti della collezione e tutti gli interventi di Simone Luschi formano un continuum.
G: Collezioni le cose che trovi e il tuo studio tende a riempirsi di materiali, di lavori finiti e lavori sospesi tra fasi di sviluppo che a volte – come dicevi – distano anni. Eppure vivi con pochissimi beni materiali, pochi vestiti, la stessa utilitaria da anni. Come convivono in te l’accumulatore e l’uomo frugale? Queste due anime le troviamo anche riflesse nei tuoi lavori?
S: Forse irrazionalmente non mi sono mai sentito come un accumulatore, vivendo i materiali che mi accompagnano come elementi necessari per i lavori futuri.
La quantità di materiale che ho raccolto nel tempo spesso è figlia dell’assurda logica per cui una tavola di un legno pregiato mi viene quasi regalata perché fa parte di un mobile che non interessa a nessuno, ma se devo procurarmi del materiale vergine le cifre per dei pannelli di legno, anche di bassissima qualità, sono esose.
Oltre ad essere più che logico riciclare, per me accumulare materiali interessanti è come per un bambino potrebbe essere trovare pezzi di Lego per strada.
L’altra grossa quantità di pezzi che mi circondano sono le mie creazioni, il semplice risultato del tempo costante che ho dedicato all’arte, unito al poco impegno nel cercare altre case per loro e forse anche un amore eccessivo verso le mie creature.
Il paradosso di essermi trovato un giorno a dover cercare non solo uno spazio dove creare ma anche dove stoccare tutta la produzione è qualcosa su cui ho ragionato spesso.
Ma per adesso la risposta è la medesima: fino a che questa condizione mi regalerà grande felicità e soddisfazione sarà una mia priorità.
Di rimando nella mia vita personale ho messo in secondo piano tutto ciò che ritengo superfluo, senza sentire per ora la cosa come una mancanza.
Una serie scaturita dall’accumulo di vecchie bottiglie di piccolissime dimensioni, soprattutto per medicinali, trovate da All’Origine. Micro architetture verdi ed effimere in cui convivono un’ampolla, un fiore ed un solido scavato.
G: Un’altra contraddizione solo apparente: il tuo disprezzo per il consumismo passa anche per il recupero e il recupero finisce inevitabilmente per farsi accumulo. Qui da All’Origine direi che ne sappiamo tutti qualcosa. A questo punto, in barba all’autoreferenzialità, vorrei chiederti qualcosa di più sul tuo rapporto con All’Origine! Qui ogni giorno, con fini certamente meno nobili di quelli che hai appena menzionato (dato che ne facciamo commercio), ci occupiamo di recuperare cose vecchie. Siamo incapaci di buttare quelle che si rompono e talvolta siamo più affascinati dagli oggetti più brutti e indesiderabili che da quelli belli. In che modo negli ultimi 5 anni questo luogo in cui entrambi lavoriamo ha influenzato le tue produzioni?
S: Posso dire che i primi anni ho vissuto un rapporto conflittuale con gli stimoli che ricevevo da questo luogo, essendo appassionato come molti di oggetti usati e antichi, questa infinita quantità di materiale è stata molto difficile da digerire e metabolizzare.
Una delle prime esperienze importanti riguarda i libri: nelle mie prime settimane da All’Origine il nostro titolare Davide mi volle affiancare in un’attività di cui da sempre ama occuparsi personalmente: la meticolosa suddivisione per colore dei vecchi libri che All’Origine tratta in grandissime quantità. Oltre al piacere nel constatare come le vecchie grafiche delle copertine sono spesso più fresche e moderne di quelle attuali, e alle emozioni per ritrovamenti all’interno di essi, come lettere, foto ed originali segnalibri, mi sono trovato a ragionare in modo nuovo sull’accostamento dei colori.
In precedenza avevo già imparato molto sul colore giocando con programmi di grafica che mi permettevano di abbinare colori differenti velocemente, ma lavorare con i libri, che sono oggetti fisici, caratterizzati non solo da incredibili tonalità date da usura differente, ma anche da texture e titoli con font diversi, è stato come comporre un incredibile numero di quadri, sculture orizzontali.
Ma il mio lavoro per All’Origine è principalmente occuparmi delle spedizioni, maneggiando un numero incredibile di oggetti in arrivo e in partenza dallo showroom. I primi anni per una forma di rispetto sia della loro bellezza sia per il loro valore commerciale, li ho solo studiati, arrivando ad imitarne qualcuno con il legno perchè affascinato da certe peculiari forme.
Poi col passare del tempo ho capito che esistevano oggetti unici, magari fratelli artigianali di altri, ma con caratteristiche uniche e speciali, almeno ai miei occhi, impossibili da imitare, che grazie alla generosità che si respira in questo ambiente sono diventati miei, in attesa di essere integrati all’interno di una mia scultura.
Una mensolina porta vaso verde acqua è stato il primo, una tipologia di oggetto che mi affascina per la sua semplicità, ma quella in particolare era caratterizzata da tanti piccoli tasselli che creavano un recinto, in lei ho immaginato subito crescere un piccolo mondo, che con il tempo ho realizzato con elementi simili al colore originale.
S: Un’altra importante influenza riguarda la creazione di lavori composti. Vivendo in un ambiente che realizza composizioni di oggetti, in orizzontale ed a parete, intenzionalmente ma anche casualmente immerse nel caos,ho cominciato a ragionare su queste disposizioni e le emozioni che trasmettevano, non elementi unici ma famiglie.
A proposito di questo mi sento di ringraziare soprattutto Corina Jucan: la facilità e la leggerezza con cui concepisce quotidianamente questi sposalizi di oggetti è grande fonte d’ispirazione per me.
Fra tanti lavori l’ esempio più importante è sicuramente un’installazione, chiamata “Paesaggi Possibili” che realizzai nel 2021: un insieme di elementi di natura diversa, colorati dal medesimo colore, distribuiti quasi casualmente in una stanza bianca, poi diventati parte di un cortometraggio realizzato dal mio amico Massimo Garavini, ed infine tornati nel mio studio assemblati in una scultura unica.
L’installazione “Paesaggi Possibili” per la mostra “Musei Chiusi” (Museo Civico di Fusignano, 2021) poi aggregata nel 2022 a formare un totem con parti mobili (foto di sinistra).
S: Infine All’Origine è custode di innumerevoli pezzi di arte anonima, in tutte le sue forme, che si tratti di ricami, vetri, sculture o dipinti, l’attrazione e ricerca di emulazione verso questo tipo di arte non convenzionale è cresciuta molto grazie a tutti questi reperti.
Un grande oggetto semifigurativo nato dagli scarti di All’Origine: un trespolo porta fiori e pezzi in legno ricavati da quella che fu una staccionata, entrambi danneggiati ben oltre il punto in cui può avere senso tentare un restauro.
G: Ci sono due elementi che emergono con grande forza dal racconto del tuo lavoro: il primo è la tua attitudine a non cristallizzare mai le tue produzioni. Sono pochi i pezzi dei quali dici con certezza che sono definitivamente ultimati. Molti, se rimangono tra le tue mani, possono essere rimaneggiati a distanza di anni, decenni addirittura. Per me è emblematico un tuo disegno di infanzia che hai ritrovato da adulto e al quale hai aggiunto un colore di sfondo. Chiunque altro penso considererebbe sacro e intoccabile un simile ritrovamento: un disegno del se stesso bambino, una versione di lui che non esiste più. Eppure tu no, hai fatto una collaborazione artistica con il te bambino!
Il secondo elemento è appunto la fascinazione per gli oggetti ritrovati. Possiamo dire che, al di là dell’aspetto di testimonianza da te citato, ciò che accomuna i manufatti che destano il tuo interesse sia una certa purezza intrinseca. Non una purezza estetica, ma una sorta di purezza intellettuale: oggetti cui ha dato forma la natura, la cui forma deriva da una precedente funzione, oppure oggetti e disegni nati sì con finalità artistiche ma eseguiti da chi non aveva competenze specifiche: l’arte anonima e, forse al vertice di questa scala della purezza, l’arte infantile, quella fatta dai bambini in età prescolare. Nel tuo studio non mancano mai materiali per far disegnare i figli piccoli dei tuoi amici e dei tuoi clienti. Conservi tutto ciò che producono e a volte elabori sui loro disegni.
Naturalmente questo non significa che tu non sia anche un avido consumatore di quell’arte informata fatta da autrici e autori con un nome, un cognome e un imponente corpus di opere. Vorrei chiederti perciò chi sono gli artisti dai quali ti senti più influenzato o alla cui visione ti senti più vicino. Ti chiedo dieci nomi e una sintetica motivazione per l’inclusione di ciascuno in questa tua classifica. La tua risposta ci aiuterà sia a capire ancora di più del tuo modo di intendere l’arte, sia a scoprire nuovi artisti!
S: Sicuramente mi piace pensare che ciò che mi spinge a creare oggi sia molto vicino al motivo per cui disegnavo da bambino. Preferisco quindi concentrarmi sulla parte più importante legata alla creazione, che è la creazione stessa. Motivo per cui il prodotto finale può a volte tornare ad essere l’inizio di altro, perché a distanza di tempo è maggiore la necessità di avere un supporto che l’emozione che ho avuto nel creare un certo oggetto.
Per il medesimo motivo trovo difficile decidere il valore economico di un mio pezzo, perché il valore riguarda uno specifico percorso emozionale che a volte tocca anche la casualità e la fortuna, canoni estetici e dimensioni possono passare quindi in secondo piano.
Anche se le influenze che ricevo ed ho ricevuto non riguardano solo il cosiddetto mondo dell’arte ma tutti quei mondi che stimolano la mia immaginazione, come il cinema, la natura e la musica che mi accompagna mentre creo, ci sono sicuramente degli artisti che più di altri mi hanno colpito.
Mokichi Otsuka. Il suo lavoro è stato grande fonte di ispirazione, poterlo avere come compagno di classe e vederlo lavorare una delle fortune più grandi che ho avuto.
Georges Rousse. Come per Varini spesso in piccolo ho emulato l’elemento che caratterizza questo artista.
Eltono. Alcuni dei suoi primi lavori (Astillas, Automatic Painting, Pubblico) mi hanno fatto capire come la casualità possa definire un’opera.
Judith Scott. Artista simbolo di un mondo che parla di sofferenze che possono trovare nell’espressione artistica una via di fuga in mondi personali.
Richard Wilson. “Turning the Place Over” È una delle mie opere preferite di sempre, un punto di partenza del mio lavoro degli ultimi anni.
Antonio Ligabue. Uno dei rappresentanti di quella pittura imperfetta, caratterizzata da prospettive e proporzioni errate, insieme a tutti quei disegnatori che rappresentano qualcosa senza preoccuparsi di avere affinato doti particolari, come ad esempio i bambini.
Nel 2024 Simone Luschi ha realizzato per All’Origine “Il Collezionista”, un grande oggetto scultoreo in forma di testa umana che nasce nel solco di installazioni come quella per Dari e Brighi ma aggiunge un ulteriore grado di libertà: la continua mutevolezza. Con la collaborazione della nostra Art Director Corina Jucan l’aspetto di questo lavoro continuerà a mutare fintanto che Il Collezionista sarà all’interno del nostro showroom ospitando a volte vetri colorati, a volte cristallo trasparente, ceramiche, libri… Da un punto di vista meramente funzionale potremmo ridurlo a espositore, ma il Collezionista è un commentario su All’Origine o forse il nostro specchio: un accumulatore compulsivo che disperde le sue collezioni per cominciarne sempre di nuove.